Dante: un incontro tra banchi di scuola, tele ed arpe

Dante: tra dispense di scuola e appunti digitali

Un amore che salva, un amore che porta alla perdizione: il volto di Beatrice e lo sguardo, segnato dalla passione, di Francesca. I canti più belli e strazianti, le terzine di endecasillabi capaci di ammaliare, affascinare, far dubitare, terrorizzare gli studenti sui banchi di scuola. Perché ripeterli, perché lodarli? Scritti da un Poeta, il Sommo Poeta, venerato per certi tratti, detestabile e presuntuoso per alcuni, vanitoso quel poco che è sufficiente ad alzare gli occhi al cielo dinanzi alla “Commedia” che è “Divina”. Chissà forse è stato un veggente, un immaginario, un ribelle! Oppure è semplicemente un Uomo in costante ricerca, alle prese con un cammino sempre in salita, dovuto all’imposizione dell’esilio (Dante Alighieri apparteneva ai Guelfi Bianchi) e al suo cuore instancabile ed affamato di Amore Nobile e Giustizia Benevola. Incontrando Dante con gli occhi di uno studente forse si scorge all’apparenza un signorotto pretenzioso, un maestro saccente, perdendosi nelle sue opere si arriva a scorgere un amico, qualcuno che ha saputo ed ha dovuto perdere per poi vedere le stelle.

Immaginandosi nella bottega, la tela sta asciugandosi, il pittore abbozza parole ed intanto strofina le mani sul canovaccio

Scorgo un dipinto nella notte che rappresenta la selva oscura di ciascuno.

La donna, musa angelica, è posta sul giaciglio, ella solamente dorme ma noi ciechi, non lo riconosciamo, questo sonno beato! Poniamo rose accanto a Lei poiché, quel poeta profondo, celato negli atri del cuore ne è innamorato!

Quel poeta sommo ci parla, ancora dopo settecento anni, emerge e suggerisce ben più di un oracolo! Cesella parole accurate dettate dal quotidiano vivere e combattere, le dispone nei meravigliosi intarsi che si creano appena esse germogliano. Sono così potenti che schiudono le fibre del cuore, le rilassano e le contraggono, preparandole alla Vita Nova, costante ricerca di purezza, di amor salvifico.

Dinanzi a questa tela, si può sentire l’anima dilaniata del pittore Gabriel Dante Rossetti la cui passione per l’Arte, la letteratura e le tecniche pittoriche, lo portano ad una vita costellata di quesiti, indissolubilmente legata al Sommo Poeta – con cui instaura un rapporto intenso: sarà stato Fato, Destino, Provvidenza? -, colma di fuochi di passione e brama di redenzione sviluppando per Lizzie Siddal (la sua Beatrice) quella concezione d’amore stilnovista, non scevro da tormenti per il Rossetti.

Approdando infine nei pressi di una torre medievale, dando alito ed animo a quelle terzine che profumano di preghiera

Si sente dire che alcune nonne – tempi che paiono lontanissimi! – tenevano la Divina Commedia (edizione tascabile senza note o appendici) nel cassettino del comò, accanto alla Bibbia (sempre con una rilegatura semplice e senza pretese) oppure, addirittura, nelle tasche del grembiule.

Recitavano a memoria interi canti!

Quelle tremule voci si uniscono al limpido scorrere potente, drammatico e melodico dei vocalizzi di una Donna a cui si aggiungono altre vocette giovanili già capaci di evocare emozioni, immagini!

Dita di mani allenate ed ispirate pizzicano corde montate su un tempio vivo chiamato Arpa, fatto di legno e di aria.

Gli Uomini si uniscono per forgiare un fiore, frutto di un Paradiso promesso da colei che s’ama, figlio di una ricerca tra sonetti, secoli e terre d’Irlanda: il Sommo Poeta è vivo, queste arpe lo raccontano!

Link per “Paolo + Francesca” : https://www.youtube.com/watch?v=-mjnJNH76Eo

Dante’s Dream – Fiori dall’Inferno” nasce dalla ricerca – parola volutamente ri-utilizzata per sottolineare l’importanza di questo gesto, di tale azione e della dinamicità, nonché della evoluzione che essa comporta – del compositore e concertista Fabius Constable incontrando Dante e quella Commedia che non vuole essere “rivisitata” ma semplicemente omaggiata, vestendola con un tocco innovativo, evocativo.

Dante Alighieri, parlare di un Poeta e di un Uomo così vasto ma nel contempo così piccino (pensare che accanto a lui ci fu Virgilio ed altre guide, dal tanto timore che selva e fiere procurarono in lui!) come è possibile se non attraverso occhi e pensieri altrui?!

Forse Dante diventa grandioso proprio per questo, per sapersi mostrare a tutti ed in tutti, guardandoci e infondendoci il coraggio nell’affrontare quella Selva da attraversare, un passaggio obbligato per giungere a “quell’amore che move il sole e l’altre stelle”.

erica g.

 

Leoni da salvare: la voce della Natura per proteggerli

La prima volta che osservai la mia impronta nella terra bagnata da una pioggia benedetta, rimasi stupita e desolata.

Ne avevo di strada da fare per giungere a quell’orma poco più in là della mia, possente e profonda. Cinque bucherelli ed un cuore quasi impercettibili, lasciavo al mio passaggio, di fianco le tracce di coloro i quali avevano visto molte lune!

Da loro ho imparato la fierezza ed il coraggio: eppure non era abbastanza.

Nel gioco, il puro divertimento veniva sovrastato dal sentore di istinti primordiali: al di là di quella rete metallica, i confini della mia terra natale, potevo correre e far battere quel cuore che emanava pulsazioni!

Dal ventre si propagava fin nelle zampe: ero una predatrice, ero una leonessa.

Ardevo come la sabbia nel deserto della Savana!

Ma lì, in quel recinto, né caccia libera, né sieste e giochi, né corteggiamenti o la gioia dell’oasi, era possibile sperimentare.

Cibo e acqua erano presenti eppure quegli strambi esseri che riuscivano a stare in posizione eretta, avevano uno strano odore.

Non ho mai conosciuto nessuno che provenisse dal mondo fuori, da quelle valli dell’Africa popolate da chissà quali specie, chissà quali avventure. Sapevo solo che la tranquillità veniva gettata su quello spazio come un lenzuolo, il cui scopo era proteggere dalla polvere.

Quella tranquillità nascondeva un timore pauroso.

La vita scorreva, le stagioni cedevano il passo ad altre, la volta celeste fissa si mostrava ai miei occhi di stirpe regale: oltre i recinti, avrei avuto una tiara.
Un giorno, sommersa e perduta in questi pensieri, sentii un pizzicotto nel fianco, un lampo esploso e circoscritto, tutto ad un tratto il mondo si mise a girare vorticosamente.
L’equilibrio venne meno e per un attimo credetti di raggiungere gli astri ed i grandi re del passato. Sentii prendermi le zampe e il contatto di una presa ferrea mi morse le articolazioni delle zampe.

Ero ancora in questa landa d’Africa.
Sentii scossoni, il corpo sobbalzare al ritmo di buche: dove mi trovavo?

Sempre nel vortice dei sensi avvertii il timore risalire.

Attacco e fuga: la Natura mi parlava.

La pesantezza delle membra però impediva di seguirne il richiamo. Dovevo prendere aria, dovevo respirare. Dopo un tempo che pareva una eternità, un colpo secco e la luce del pieno giorno si infilò nei miei occhi. Corsi fuori con la forza concessa dalla sete e dal bisogno di ossigeno.

Tremavo nei muscoli, erano così fragili! Cosa era accaduto, cos’era quel pizzicotto?

Mi ritrovai in uno spazio ancora più piccolo, disorientata e debole, girai la testa per fiutare…
Due esseri – come li chiamava Nimba, il leone più anziano? Ah, si! –  umani, stavano di fronte a me. Uno imbracciava uno strano oggetto: non lo avevo mai visto, emanava un odore acre e paludoso, lo stesso della carne che veniva gettata nel recinto, lasciata da troppo tempo a marcire.

La Natura mi aveva richiamato, ora più forte, incitava le zampe a correre, ad essere scattanti e poderose – erano fatte per quello- ma il formicolio dei muscoli impediva tutto.

Dovevo andarmene, volevo essere fiera e mostrare quel coraggio necessario per guadagnarmi la tiara.

Le forze non lo consentivano.

Sapevo che la polvere davanti a me era intrisa di odore di morte. Osservai quegli esseri in piedi di fronte a me, uomini! Le orecchie avvertirono l’inizio di un volo, un suono meccanico e secco. Un dolore acuto mi colpì al fianco destro, di nuovo. Una scarica che non potevo sorreggere.

Chiesi alla Natura di accasciarmi nobilmente.

Il bruciore di un fuoco non benigno avvampava. Volsi gli occhi non ai passi veloci di quegli uomini bruti, li volsi alle piccole foglie di Baobab poco distante da me. Intravedevo il cielo. Non ero stata coraggiosa. La linfa dentro di me se ne andava. Un rumore sordo arrivò mentre socchiudevo gli occhi, il bruciore lancinante raggiunse il suo apice e cessò.

Mi ritrovai a camminare piena di energie in un’oasi con acque cristalline e tantissimi animali. Com’era possibile? Osservai la mia impronta e la confrontai con un’altra…

“Sei con noi, protetta dai grandi Re. Sono Namubi la tua guida. Ora non sei più della terra, hai mostrato fierezza e valore. Hai altri viaggi da affrontare, lascia a quei barbari glorie vanesie. Corriamo verso ciò che è fatto per noi.”

Ero libera.
*


Questa storia si basa sulla realtà che vige in Sudafrica. I leoni e le leonesse di molti allevamenti (si stima che ben 12mila leoni vengono allevati per scopi brutali e speculativi), crescono sin dalla nascita in recinti, per diventare trofei di guerra di ricchi turisti che pagano per “uccidere” la loro preda sedata in precedenza. Una pratica costosa (riservata perciò ai più abbienti) e legalizzata oltre ad essere poco denunciata. I cuccioli di leoni vengono strappati dalla madre e cresciuti negli allevamenti, vengono fatti incroci, nascono ibridi, sono resi “animali domestici” per via di una farmacoterapia costante. Infine sono usati, sfruttati a solo scopo di mercato: oggetti da vendere, da sbarazzarsene.

C’è una voce che sussurra ai leoni ed a chi ha voglia di ascoltare, dice:

“spero che guardando i miei video la gente comprenda che questi animali sono davvero splendidi e non rappresentano una minaccia per l’uomo, tantomeno dei trofei da appendere in casa; voglio che imparino a rispettarli …”.

Sono le parole di Kevin Richardson, etologo, il cui rapporto con i leoni è davvero unico e magico. Ogni suo gesto in loro compagnia è un rituale, un dialogo. La Kevin Richardson Foundation si occupa di sensibilizzare le persone del luogo, i turisti con lo scopo di proteggere questi splendidi animali.

Alzando gli occhi ora è possibile vedere un Leone Bianco (si tratta di un polimorfismo genetico che causa la mutazione nella colorazione del leone) che passeggia nella Riserva del Timbavati.

 

erica g.

L’Albero di Natale e la sua prima storia

Anche la carta di giornale non è più come una volta!

Si prova ad accendere la capannetta di legnetti ma, nulla! Tutto fa disperare, tutto fa abbandonare le redini trattenute sino ad oggi.

Un impeto furioso fa voltare e lo scontro con l’Albero di Natale in mezzo al salone è inevitabile!

Anche l’Albero si allea con il resto del mondo per creare scompiglio?!

Il chiavistello gira ed un’ondata di neve e fango si spande insieme agli schiamazzi in tutto il pian terreno.

Il terremoto umano prende vita ed implode, abbandona la prua, toglie alle fondamenta l’anima, solleva e sradica qualsiasi elemento che incontra.

Tutte le storie di vischio, di abete, di San Nicola vengono distrutte dall’unico fiammifero rimasto.

Nessuna decorazione si salva. Lustrini, nastri, ghirlande, cristalli e vetri sono talmente malconci da essere ridotti a pepite impossibili da prezzare! Nemmeno con la più potente creatività ed il collante più resistente è possibile salvare la leggenda del Natale od anche solo la dimora.

Di quelle macerie e dell’incendio della Follia – così fu chiamato dai locandieri e dai popolani – rimase un arazzo.

L’Osteria di Brandeburgo (e nessuno sa spiegarsi il perché di questo nome) lo mostrava fiero appena sopra il bancone. A tesserlo furono una coppia di anziani. L’arazzo rappresentava il cumulo dei resti, una figura umana che scappava nella foresta, un tizzone ardente ai piedi di quelle rovine, una casa spezzata non dalle fiamme ma dall’ira incontrollata di un cuore dis-adeguato.

Eppure quell’arazzo nascondeva un pezzo di storia. Passarono Primavere e Inverni. Nella locanda, una sera, arrivò una voce. Guardò l’Arazzo e si levò, cristallina come la Grande Congiunzione.

Venne la neve.
Ne venne tanta.
Si tramutò in ghiaccio.
Venne la pioggia.
Sciolse quelle lastre dai singolari contorni … dentro di loro recavano pezzetti di aghi di pino, fili argentei, minuscoli vetrini.

Venne la neve.
Ne venne tanta.
Ancora tutto si tramutò in lastra e poi tutto si sciolse.

Così accadde una terza volta.

L’Inverno finì.

Una coppia di anziani raccolse i pezzi di addobbi, gli aghi di pino, i rami e ciocchi di tronchi.
Oh, ad avere tempo si sarebbe potuto!

Si sarebbe potuto aggiustare quel Natale mancato e perduto.

Loro, quegli anziani stanchi nel corpo, misero tutto in una scatola. Non avevano più tempo se non quello di confidare il luogo ove riposava un perduto tesoro. Non avevano più tempo se non quello di riportare tutto su di un arazzo.

Una fanciulla ed un fanciullo, sconosciuti ed improbabili, incapaci di accontentarsi dei beni del duro lavoro, di ciò che il danaro poteva promettere, di un buon boccale di birra presso la locanda, si imbatterono nell’arazzo, scontrandosi in un pomeriggio nevoso del Generale Inverno.

Una torcia accesa accanto ad una catasta. Qualcuno che fugge.
Tempo di salvare ben più di una leggenda.

Guidati dall’Arazzo trovarono nella cantina della locanda la scatola intagliata e impolverata.
Lavorarono duramente: era una notte di Fine Dicembre.

Venne la neve in quelle ore.
L’alba clemente regalò un fascio di luce.

Il locandiere e qualche manciata di uomini e discoli già si levavano, aprendo porte ed infissi per decifrare il tempo ma!

In mezzo alla piazza, laddove c’era uno spiazzo di terra brulla svettava solenne un Albero di … Natale.

albero di Natale in piazza

Timidi dapprima e poi squillanti, si levano gli auguri, le antiche e mai dimenticate – ma solo assopite- tradizioni.

Il fanciullo e la fanciulla sonnecchiavano nei loro letti, sotto le unghie delle mani la terra e qualche graffio necessario per salvare quella figura che fugge ed ora può ritrovare luce.

Necessario per salvare il Natale.

Ecco come è nato l’Albero di Natale, al quale si inneggia, si cantano le Odi e si posano i doni.

erica g.

Donna e Natura: da due Dee la bellezza della rinascita

La Donna e la Natura: parlare di loro con lo scopo di ritornare e restituire una bellezza innata ma dimenticata, in un periodo sociale così dilaniato da contraddizioni, voci mediocri, superficialità. E’ la scelta doverosa per l’annuncio di una Speranza che va oltre il mero ottimismo.

Non si tratta di rivendicare né la scarpetta rossa né quella di cristallo. In questo dipinto c’è la presenza dell’albero di Nonna Salice. La ricordate in Pocahontas, Film della Disney del 1995, nel suo invito a seguire gli impulsi del cuore?!

Dalla Donna e dalla Natura c’è il “Sì” che salva, che è redenzione, che avvolge l’uomo e lo conduce alle più alte sfere. Da una cripta, dall’oscurità c’è l’affermazione. Per queste due Dee occorre memoria, garanzia di valore.

La valorizzazione della Donna nella società da parte dell’Uomo, corre su un binario sovrapponibile al rispetto che lo stesso Uomo mostra nei confronti della Natura. I due atteggiamenti volti ai mondi femminili in termini macro – cosmici (Natura) e micro – cosmici (Donna) si incontrano e offrono uno spaccato di come effettivamente l’ambiente culturale e antropologico si muove.

Molti spunti di riflessioni giungono da studi e proposte ed è bello citarne alcuni per comprendere davvero il ruolo che queste due potenze hanno.

Dalla grotta avvolta nel buio la luce potente di Natura e Donna

Possono essere fiere come regine, piegate e spezzate come canne sulla riva di un lago, fresche e leggere come brezza marina, dure e aspre ed insolenti ma, in ciascun caso, potenti.

La finezza di un ragionamento, il sesto senso unito a quella percezione che va ancora più su nella scala della sensibilità, le scelte eroiche impensabili persino per Ercole, la profonda tenerezza nel vedere la trasformazione di una giovane in una madre senza che nessun libro o maestro abbia educato a tal mestiere! … Donna

Ed ancora l’accettazione di un passo indietro, di una maschera, di un destino, della sopravvivenza al limite, affinché l’Uomo si senta realizzato e pieno di sé. Essere ombra dietro al Maschio alfa. … Donna

E Tu, offri la nostalgia di un tramonto, l’incanto dell’alba con la sua benedizione, la possibilità di camminare tra due sponde di acque, il ricamo della brina o rugiada, l’apertura delle Belle di Notte, tronchi secolari attorno ai quali si compiono riti, la flora e la fauna, le chiare e belle e dolci acque … Natura

Quando ti arrabbi sei tremenda e sei devastazione, diventi una matrigna e non dai scampo o tregua. Sei Maga Circe e Sirena. Ammali e ti sottrai per sedurre di nuovo … Natura

Ma oggi, Donna Bella e Bella Natura, vi trovo accasciate e chiedete nuovi abiti e nuovi incantesimi.

Avete bisogno di artisti ed arpe, gli strumenti primordiali che diano eco al “Sì” per la rinascita.

Evocate i tempi dei Nativi, degli Aborigeni, degli Antichi Greci in cui eravate elevate al vostro livello.

La donna stessa chiede connessione alla sua vera essenza, l’origine da cui trae nutrimento e temperamento, tramite la preghiera alla Luna ed alla Madre Terra per inviare guide fedeli.

Donna e Natura possono ritrovarsi in un percorso cantato attraverso gli alberi, tradizioni, rituali: è una proposta che indaga la relazione imprescindibile di queste due potenze. I tasselli di un mosaico grande da ricollocare, punti luminosi in un grande cosmo da muovere con grazia e delizia, restituendo forza, dignità e luce ad entrambe queste Dee.

Molti si interrogano se “Ecofemminismo” è ciò di cui stiamo parlando. No. Non vi è nessun –ismo quando si tratta di uguaglianza, diritto ad esistere per ciò che si è e non essere sfruttate per esigenze di uomini, sia nel caso di Donna che di Natura. Quel sì pronunziato nella grotta oscura trova la forza, attraverso corde pizzicate da uomini coscienti e spiriti puri, di germogliare, creare una colonna di luce per l’umanità ed il creato intero!

Si comprende il significato pieno della Marcia contro la corsa al nucleare del 1980, e di quelle parole pronunciate al Pentagono:

“Ci siamo riunite qui al Pentagono oggi perché abbiamo paura per le nostre vite. Paura per la vita di questo pianeta, della nostra Terra e della vita dei bambini che sono il futuro dell’umanità. (…) Siamo nelle mani di uomini che il potere e la ricchezza hanno distaccato non solo dalla realtà, ma anche dall’immaginazione. Abbiamo molta ragione ad avere paura.”

Un discorso degli Anni Ottanta che potrebbe calzare a pennello anche oggi: non c’è il nucleare ma a ben vedere, la paura è solida e fitta. Ma dobbiamo risplendere per alzare lo sguardo!

I diritti fondamentali delle donne, della natura, della fauna e della flora, debbono essere salvaguardati!

Se si deteriora il corpo di Donna e l’ambiente si consuma, il tempio di anime ancestrali che hanno contribuito a generare quelle energie che sanno muovere il mondo assieme alla cultura buona dell’uomo, si disfano.

Ecco la chiave del ritorno e della restituzione: forze primordiali di Donna e Natura unite a quelle primitive dell’Uomo affinché vi sia evoluzione e scoperta della bellezza, dimenticando frenesia e degrado.

Donna e Natura sanno sedurre non solo nel corpo, ancor prima nella testa ed ancora un passo indietro nell’anima.

La foto presente nell’immagine di apertura, di Gino di Meglio mostra l’intimità che l’uomo a volte dimentica ma a cui è necessario riportare la mente, ispirandosi alla Vita dei Boschi di Henry David Thoreau di cui ne si riporta uno stralcio:

“Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.”

Henry David Thoreau ha trascorso due anni, due mesi e due giorni in una capanna di legno presso il lago Walden, nel Massachussetts, in contatto intimo con la natura, in contatto intimo con la Donna che è in Lei.

C’è una musica di Donne presso la cripta. Muovono la propria voce [n.d.r. vedasi il “videocripthttps://youtu.be/sW1kxOt_f5U], la modulano perché giunga a ciascuno il grido delle due potenze, perché ogni Uomo possa abbracciare un tronco secolare e percepire la seduzione di Natura! Perché ogni uomo con un’arpa e qualsiasi strumento dia risonanza all’affermativa fiducia nella luce.

Perché ciascun Uomo possa abbracciare in un corpo di Donna, il cuore timoroso di Dea umana.

Non hanno scarpette rosse o di cristallo le Due Dee: una ha un mantello irlandese, l’altra una scorza ruvida di quanti secoli?

Da una cripta viene il Sì della luce, alimentata da primordiali suoni promossi da uomini che credono nella forza genitrice.

 

erica g.

Alberi e Artisti: Natale in loro compagnia…

Alle sorgenti del fiume, le radici degli Alberi si mostrano fiere e piene di muscoli. Sono irrigate dalle acque della terra da onorare perché accoglie e offre ciò che serve per la Vita. Lo sguardo si sposta lentamente, risalendo, come se volesse percorrere all’indietro il letto del fiume, in realtà sta carpendo ogni dettaglio di quell’essere vivente muto ed in preghiera, un Albero.

Se un albero ha radici profonde, i rami e le foglie non avvizziranno mai. Se la sorgente é inesauribile, il fiume non si prosciugherà mai. Senza legna il fuoco si spegne. Senza la terra le piante non crescono. Se io, Nichiren, sono diventato il devoto del Sutra del Loto e tutti parlano del prete Nichiren, sia bene che male, non lo devo forse unicamente al mio defunto maestro Dozen-bo ? Nichiren é come la pianta e il suo maestro é come la terra.

Più lo sguardo si alza verso le fronde, più si immerge e scorge i dettagli dei rami, di quella piccola foglia tentennante, indecisa se lasciarsi andare oppure restare agganciata ancora un poco, avere la possibilità di terminare ancora una volta la respirazione cellulare e la fotosintesi. Infine cadere.

Non si crede a chi dice che gli alberi hanno un suono, una musica, una voce.

Gli alberi sanno parlare.

Che follia! Sì, una follia vera, però! Più gli occhi stabiliscono un contatto con quelle radici, quel tronco e quella chioma, più quell’albero, tempio monolitico parla.

Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina.” cit.

Le parole dell’albero danno frutti. Li possiamo cogliere secondo il ritmo delle stagioni, li possiamo accogliere dentro di noi, diventando discepoli dell’albero, stringendo un patto: portare la sua voce nel quotidiano, in un piccolo gesto, una minuscola attenzione. Sgorga spontaneo il sì a questa richiesta. Un’alleanza che viene suggellata dalle acque sorgive, dal ventre della terra e trascende sino al cielo, ove la chioma si staglia. Oh albero, la tua è quasi nuda.

È l’Inverno, passaggio obbligato, è la morte per la vita, è il celarsi per mostrare un nuovo frutto forgiato dalla capacità di modellare e lascarsi intagliare.

Albero della Vita, luogo sacro e venerabile simbolo, connettore dei mondi e portale, al pari delle figure geometriche più usate dall’uomo, tu sei nato dalla Madre Terra e voluto dal Gran Creatore, dall’Universo, tu parli, tempio santo! Meriti tutto fuorché di essere reso schiavo e servitore di uomini dall’istinto selvaggio!

Lo sguardo che dalle acque ha percorso la tua linea, sale e scende e percepisce la bellezza e l’imponenza del tronco secolare.

Incontra la Corteccia ed ecco il tuo suono, qui vibra!

Corteccia: cuore e corteggiamento.

Oltre la scorza c’è il legno vivo e si arriva al midollo, la madre che genera lo spirito ed il soffio caratteristico di quell’Albero. Da lì è musica. Dal legno sono generati gli strumenti e gli artisti.

Oh, li si vede. Nobili cuori che si addentrano chiedendo permesso sul limitare della foresta. La brezza leggera a quella richiesta muove le cime dei pini che prestano consenso. Fanno così gli artisti di strada, quelli apparentemente burberi, i gentili, i timorosi, i vecchi lupi di mare della musica, gli alpini dei cori, i popolani… chi è un vero artista sa come chiedere permesso, conosce la disciplina e la legge dei muti maestri.

Entrano nella foresta e seguono ciascuno il proprio tracciato: non si comprende se i passi sono guidati da una consapevolezza interiore oppure è il sentiero stesso a muoversi invitando i piedi a percorrere un avvallamento e scartare un passaggio. Ma ognuno giunge al proprio albero! Ed è magnifico a quel punto: un paio di mani, timide e piene di riverenza, si aprono, si distendono e con una lentezza devota si avvicinano al tronco, alla corteccia. La danza del richiamo, tra amato e amante, tra sposo e sposa. Dopo un lasso di tempo che sfiora l’infinito desiderio di compimento ecco i palmi si poggiano su quella scorza e si sente tutta l’anima del Maestro Albero. L’albero, sposo paziente suggella l’incontro lagrimando resina.

Una fede brilla.

Albero e artista si sono ritrovati. Sono uno e come testimoni hanno il creato. Da un Albero Maestro e da un artista nasce e si genera la musica, lo strumento.

Ben lo sanno gli artigiani, ben lo sa chi ha orecchio per la bellezza, ed un buon contadino questo lo sa… sono i primi che intonano i canti. Sono i primi che si commuovono dinanzi ad una foresta attraversata da raggi di Sole, sono i primi che bussano alla corteccia per capire se è possibile ricuperarla oppure ha un altro destino, e quel destino è in uno strumento.

Da quella scorza, da quel legno madre nascono gli strumenti e gli artisti.

Ricongiungere strumenti ed artisti all’Albero Maestro è fonderli di nuovo per creare ciò che più manca oggi, la bellezza e la magia. Strumento musicale, arpa o cetra che sia, flauto o violino, artisti di qualsiasi estro con animo puro e gaio uniti al proprio albero diventano testimoni di bellezza in questo mondo.

Per questo prossimo Natale, dopo mesi di sofferenza, un gesto, un simbolo piccolo: scegliere di piantare un albero ed adottare un artista. Questa è la proposta di Return2Nature e qui (maggiori dettagli) potrete avere un’ampia visione delle possibilità come Dono speciale per questo Tempo di Festa e di Luce da accendere con la Natura, con un Artista e la Musica.

erica g.

Halloween

Halloween

La testa annebbiata dalla paura. Tutto sempre di corsa. Pulire, pulire, pulire: solo quello, dal mattino alla sera. A cosa vale tenersi un poco di libertà, ridotta per giunta a briciole di ore, quando quell’omaccione mi reclama già dietro al bancone di Prugnolo Selvatico per preparagli la pentolata di finocchi e patate a Sera oramai inoltrata?! Quel bancone però mi ammalia sempre! Decorato con i rilievi delle Dee Dana e Aine che osservano benevole uomini dediti al raccolto abbondante. Quanto Poteen deve assumere per crollare e lasciare che questo posto diventi la degna Sala da Tè del quartiere più nobile di Irlanda?! E non una denigrata distilleria clandestina, per via della gran testardaggine di Flaith (così bisognava rivolgersi a quell’omaccione di Padrone) e delle oscure storie occultate…

La bottiglia di Poteen con il bicchiere del Flaith, riluceva alla fioca luce delle candele. Guardavo il locale, il “Grand Guignol” e ne vedevo una bellezza nascosta, un gioiello macabro eppur seduttore. Sapevo che quelle bottiglie recavano una storia, così come quelle pietre portanti. Lo specchio, il lampadario con mille gocce cascanti, il tavolo lucido in Quercia, lenzuola rosa poggiate quasi per caso su seggiole imbottite. Sidro, whiskey e quelle latte di Tè color verdone e bordeaux. Un vestito bianco svettava dal bancone. Era ricamato con la tecnica dell’Irish Crochet da mani sapienti e artigiane per cui avevano dedicato ore ed ore di intenso impegno. Del resto, era un lavoro molto diffuso ai tempi della carestia del 1840: ne sentii il racconto da una delle mie nonne! L’Uncinetto Irlandese fa portare la pagnotta in tavola, cantilenavano!

Quel vestito riassumeva la storia del “Grand Guignol”, il nome del locale. Non v’era bisogno di recarsi a Parigi per assistere a qualche serata di buffa follia. C’è chi parla di grottesco, chi di bisogno di esorcizzare, di perversione e rughe macabre che sottendono a scenette di gusto alternativo, vivibili regolarmente, e caldamente pubblicizzate dal Flaith. Ma in questo sapore che sa di oscuro vi è la necessità di una ribellione sottile, con lo scopo di far evadere l’anima, liberare la frustrazione.

“Innis scéal, abair amhrán, cum bréag, nó gabh amach” (Tell a tale, sing a song, make up a lie, or leave). – [n.d.r. Racconta una storia, canta una canzone, inventa una bugia o và!]

Phelim Brady irrompe nel salone svegliandomi di soprassalto, ipnotizzata dalla bottiglia di Poteen. E pensare che non ne avevo preso nemmeno una lacrima! D’altronde ero astemia!

Quel bel Bardo ha una cera stupenda che s’intona con la caducità delle foglie d’Autunno. Il mio buono e vecchio amico. Sa sempre quando ho bisogno di sentire qualcosa di caro… e giunge al momento opportuno!

“Ascolta i lamenti di un vecchio arpista irlandese

e non disprezzare le melodie (suonate) dalla sua vecchia mano stanca

ma ricorda che le sue dita un tempo potevano muoversi più agilmente

per innalzare i canti della sua povera terra natia”

 

-Che maschera indosserai?

-Ne dobbiamo già portare tante, nevvero Phelim?

-Se hai finito di lucidare siedi accanto e prova anche tu a cimentarti nei lamenti, in queste notti che precedono Samain. (n.d.r. 31 Ottobre – 1 Novembre; uno dei periodi in cui era suddiviso l’anno nell’era pre-cristiana secondo l’usanza irlandese)

Quale sarebbe stata la maschera? Con questa idea che presto sarebbe diventato il cruccio predominante durante le sessioni interminabili di pulizia evocai :

Joe hai trovato il tesoro? Joe hai trovato il tesoro?

Un uomo avaro lì, nella vecchia e rovinosa casa, nascose un tesoro

Joe hai trovato il tesoro? Joe hai trovato il tesoro?

Quella casa possedeva un mulino

Joe hai trovato il tesoro? Joe hai trovato il tesoro?

Il fantasma di quell’uomo fece una croce per trovare il tesoro

Joe hai trovato il tesoro? Joe hai trovato il tesoro?

Ogni notte Joe scavò ascoltando quell’uomo

Joe hai trovato il tesoro? Joe hai trovato il tesoro?

Del mulino non rimase più nulla, solo cumuli di scavi e le mani callose di Joe”.

[adattamento tratto da “Storie di fantasmi per il dopocena” di Jerome K. Jerome]

Pizzicava quell’arpa come se stesse preparando il Sidro. Chissà quanti anni in realtà avesse. Me lo chiedevo spesso ma a quella domanda ero ben conscia che non vi sarebbe stata risposta.

 

“Un dramma così variegato, non temete,

Non sarà scordato!

Col suo Fantasma per sempre inseguito

Da una folla che mai non l’afferra,

In un cerchio che sempre ritorna

Nello stesso identico punto,

E molta Pazzia, e ancor più Peccato,

E Orrore animano la trama.

 […]

Spente, spente le luci, tutte spente!

E sopra ogni forma fremente,

Funebre sudario il sipario

Vien giù con fragor di tempesta,

E gli angeli pallidi esangui,

Levandosi, svelandosi, dicono

Che quella è la tragedia “L’Uomo”,

E il Verme Conquistatore, l’eroe.” (tratto da Il verme conquistatore di E. A. Poe)

Quella macabra pazzia di Edgar Allan Poe io l’adoravo. Non vi erano le consuete tracce di orrore che spesso oggi si ritrovano, non c’è nemmeno quella ossessione da manicomio che s’incontra tra la gente quando si ha a che fare con una diversa normalità. C’è la bellissima controversa psicologia fine di una pazzia che combaciava con una intelligenza da maestro. Lo condusse ad una vita oggettivamente povera ma di gran classe secondo i canoni d’un arte di cui lui stesso pose le fondamenta.

-La notte è fugace presto tornerai al lavoro!

-Buon Phelym, di già ti assenti?

-Sì, tu prepara il “Grand Guignol” per il 31 di Ottobre, e scegli la tua maschera. Vedrai cosa ti preparerò. E quelli della tua specie, gli umani, qui verranno ad assaggiare il più buon Sidro, il miglior aromatico Irish Mist, i preziosi Tè, e sentiranno i fantasmi di questo posto, rideranno di alcuni e palpiteranno per altri, respireranno il profumo di Brigid… intanto ti conviene spegnere il fuoco sotto quella bella pentola di alluminio, finocchi e patate saranno quasi bruciati!

-Oh Santo Poe, erbe e spezie mi aiutino con il pasto del Flaith! Ci sarà da ridere, nevvero? Accorda l’arpa piuttosto! Questo posto ha più di mille anni, spolverarli tutti per il 31, un’impresa! Ci vediamo alle 21.00 in Via Vitani, 32 a Como, il 31 di Ottobre!

Il nostro rituale, ricordare cose scontate, ma ad Halloween si sa, tutto può succedere!

erica g.

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Ecosostenibilità e l’importanza di una coccinella

Ecosostenibilità e l’importanza di una coccinella

Ecosostenibilità e l'importanza di una coccinella

La parola ecosostenibilità evoca discussione, dibattito e questioni tediose che poco arrivano al cuore della vera essenza di ciò che s’intende e si vorrebbe trasmettere con questo termine che abbraccia un’area semantica trasversale alla Vita ed all’Universo stesso.

Ecosostenibilità non è solo l’unione di ecologia e sostenibilità, per l’appunto. È il prodotto sinergico di ciò che vi è in un ambiente, negli habitat, nella Terra e nella Natura con le azioni che l’Uomo compie su di essa. Questa risultanza non è sempre positiva, difatti la Natura sa mostrare le mancanze inferte dall’uomo. L’ecologia offre dinamiche, spiegazioni e possibilità per salvaguardare, tutelare e prevenire l’ambiente ma è l’Uomo in primis a doversi rimboccare le maniche e fare ritorno ad un prendersi cura della casa in cui abita, dimenticandosene.

Pensare all’ecosostenibilità come al prendersi cura di casa propria e di sé ha un denso significato! Ed allora il prodotto sinergico diventa buono!

Natura, habitat e uomo: insieme si può? Questo ritorno a casa è possibile o è una utopia?

È qualcosa che esiste, nelle trame di un vissuto quotidiano che viene raccontato troppo poco. Le dimensioni di questi intrecci sono davvero piccole eppure vive! Sono come coccinelle e a tal proposito è meraviglioso e funzionale descrivere la missione dei cittadini romani per salvaguardare un polmone verde che interessa il Quartiere Africano. In questa zona, la problematica importante riguardava alcuni pini attaccati da cocciniglia farinosa. Gli Amici di Villa Leopardi hanno liberato un vero e proprio esercito di coccinelle appartenenti a due specie che svolgono la funzione di predatrici del parassita, difendendo in modo naturale gli alberi. Nessun uso di pesticidi chimici e salvaguardia di piante ed ecosistema.

Prendersi cura di una casa è un onore ed un onere, vere entrambe le sfaccettature di una questione (e missione, prima di tutto) che si rivela davvero potente perché coinvolge tutti gli esseri viventi.

Ed è la casa stessa, la Natura che dà la risposta. Ha dato le coccinelle affinché fossero impiegate e rendano un servizio efficace ed efficiente. Ricordarsi di questo è prestare attenzione è importante per l’Uomo.

È l’obbiettivo di Return2Nature che impiega coccinelle (e non solo) per diffondere il messaggio non solo tramite parole, con gesti concreti. Restituire e ritornare in termini di piantumazione, interventi su aree del territorio nazionale ed internazionale… come diffondere? Con l’Arte, la più alta e nobile espressione che l’Uomo può esercitare tornando ad identificarsi con la Natura, fondendosi con essa.

Così è stato il 10 di Ottobre grazie ad uno strumento antichissimo e dolcissimo, l’Arpa. Essa era in mezzo ad un bosco, una delicata area nel verde del Parco Pineta di Appiano Gentile – Tradate (Area Osservatorio Astronomico). L’Arpa della Celtica Harp Orchestra ha inaugurato l’Autunno restituendo alla Natura (Piantumazione di Alberi in Australia – Progetto One Tree Matters) e Ritornandovi con suoni da viaggio in Bretagna e foglie scosse da Venti irlandesi.

Ecosostenibilità, coccinelle ed Arte: l’Uomo può fare tanto per la propria casa ed ella lo accoglie facendo il dono più bello, germogliare.

erica g.

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Siccità: la consapevolezza del raccontare

Siccità: la consapevolezza del raccontare

Siccità: la consapevolezza del raccontare

Le meravigliose giornate di cui stiamo godendo ci fanno pensare alla bellezza ma anche ad un tema che non possiamo dimenticare: la siccità.

Nel quotidiano, nella Natura, nell’arte, la siccità è presente e si esprime con la mancanza e la trasformazione.

È giusto iniziare con una citazione di Guterres (il quale è a capo dell’ONU) in merito all’ultimo rapporto ‘United in Science 2020’: “A causa delle emissioni passate, siamo vincolati ad un ulteriore riscaldamento”.

Periodi corposi di siccità, ondate di caldo, incendi e inondazioni: un copione che si è svincolato dall’emergenza sanitaria, continuando il proprio trend positivo. Una proposizione da rivista scientifica ma impossibile non evidenziare come la questione sia importante e fondamentale. Il riscaldamento della Terra c’è ed è in costante aumento. Ed è il cambiamento climatico unito alle condizioni di scarsità delle riserve d’acqua intese come ghiacciai, oceani, vapori a destare preoccupazione.

Vi è la consapevolezza di quanto il problema sia grande e grave ma il velo che blocca il poter operare, è massiccio. In Europa si sono susseguite due Estati (2018 – 2019) di siccità e questo ha provocato uno stress ingente sulla vegetazione e sull’agricoltura. Il pensare che si protragga senza porre alcun impedimento, senza rivedere l’uso di combustibili fossili favorendo le energie rinnovabili e le nuove metodologie, fa abbozzare uno scenario temibile, circa la sorte di aree verdi e la disponibilità dell’acqua.

La siccità porta ad una mancanza ed una trasformazione: quello che oggi per noi è il Deserto del Sahara, migliaia di anni fa era una foresta tropicale con una vegetazione ampia e variegata!

In un periodo collocabile tra 4000 e 5000 anni fa, il Sud-Est asiatico fu provato dalla mega-siccità: questo profondo mutamento climatico stressorio pose fine al ‘Sahara verde’ (detto periodo umido africano) inaugurando la regione desertica per come la conosciamo oggi dorata, desolata, rivelata, sontuosa, provocatoria.

Gli studi che si sono svolti mostrano come il minor numero di piante nel Sahara causò un aumento della polvere nell’aria  con conseguente raffreddamento dell’oceano Indiano. Ciò influenzò cambiamenti nei fenomeni correlati ai monsoni che diminuirono. Pioggia e umidità rallentarono: un cambiamento durato per 1000 anni e più. Infine il Deserto.

Impiegare energie alternative che consentano di ridurre le emissioni di gas, salvaguardare i polmoni verdi e i piccoli fazzoletti di alberi che rappresentano piccole perle di ossigeno, programmare interventi di ripopolazione nelle aree in cui la presenza di piante possa favorire un bilanciamento nell’ecologia di sistema.

Manca un elemento importante: raccontare! Raccontare che l’Uomo può intervenire positivamente accettando la volontà della Natura che necessariamente cambia aspetto. Lo insegna la Storia. La siccità non ha derivazione solo artificiale ma una componente è di stampo naturale. Su questo ultimo punto l’uomo non può intervenire ma può agire con strumenti che realizzano un ‘effetto tampone’ su ciò che è salvabile e curabile.

Ci sono delle musiche e delle opere che trasmettono aridità: lì vi è quel periodo di profondo turbamento, quel riscaldamento o raffreddamento dell’animo che sfocia e sconfina nella muta. Il tratto di deserto che ne uscirà, verde o dorato, è la risultante di un processo necessario. Se guidato, con l’effetto tampone -come accennato sopra- avrà una potenza di gran lunga più coinvolgente, senza che via sia un’implosione dell’anima!

La Natura cambia la forma, è nella sua essenza, non muta in ciò che è per l’Universo: energia genitrice.

erica g.

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